Quesito – Come deve essere strutturato il modello 231 di una holding e delle relative controllate?
Risponde: Dr. Matteo Rapparini – autore software e corsi on line D.lgs 231/01 portale http://www.sicurezzapratica.it – http://consulenza231.wordpress.com
Secondo le linee guida di Confindustria, ogni società del gruppo – in quanto singolarmente destinataria dei precetti del Dlgs 231 – è chiamata a svolgere autonomamente l’attività di predisposizione e revisione del proprio modello organizzativo.
Tale attività potrà essere condotta anche in base a indicazioni e modalità attuative previste dalla holding in funzione dell’assetto organizzativo e operativo di gruppo, senza tuttavia determinare una limitazione di autonomia da parte delle società controllate nell’adozione del modello.
L’adozione da parte di ogni società del gruppo di un proprio modello consente di realizzare un duplice obiettivo:
- elaborare un modello realmente calibrato sulla realtà organizzativa della singola impresa (condizione quest’ultima necessaria affinché al modello sia riconosciuta l’efficacia esimente di esclusione dalla responsabilità amministrativa);
- confermare l’autonomia della singola unità operativa del gruppo, ridimensionando il rischio di una risalita della responsabilità in capo alla controllante.
È poi opportuno che ogni società del gruppo nomini un proprio organismo di vigilanza (Odv), distinto anche nella scelta dei singoli componenti.
Soltanto un Odv costituito nell’ambito del singolo ente può infatti dirsi «organismo dell’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo» così come stabilito dallo stesso Dlgs 231.
Al contrario, se la vigilanza fosse esercitata da un organismo unico costituito presso la controllante – sottolineano le linee guida – si rischierebbe di fondare una posizione di garanzia di fonte negoziale in capo ai vertici della holding.
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